Il partito del Tè
Una forma di protesta in ricordo della storia della Confederazione Americana, quando, nel 1773, un gruppo di bostoniani distrusse un carico di tè di tre navi inglesi nell’ambito delle lotte per l’indipendenza dall’Europa, culminata poi con la dichiarazione d’Indipendenza pochi anni dopo.
Oggi gli obiettivi sono più alla portata di portata, ma il nome resta quello. E in questi giorni quelli che sono stati definiti “tea party” sono sbarcati a “Washington ladrona” per far sentire al “palazzo” la loro rabbia contro il fisco.
Nel “tax day”, che è poi il giorno in cui tutti gli statunitensi sono chiamati a pagare le tasse federali, quelli che si sono autodefiniti i patrioti ultras anti-Obama sfilano per le strade di Washington, tra la Casa Bianca e Capitol Hill, luoghi simboli di quel governo che detestano. Giungono in una città che «amano odiare», come sintetizzano alcuni media americani.
Quella di ieri era l’ultima tappa di un tour che ha portato negli ultimi 20 giorni questi militanti arrabbiati a mobilitarsi in ben 47 città sparse negli States.
In occasione della loro marcia, il New York Times ha pubblicato in prima pagina un sondaggio su di loro dai risultati sorprendenti.
I sostenitori dei Tea Party, secondo questi dati, non sono quei buzzurri del Midwest come spesso vengono descritti. Più ricchi e più colti della media degli americani, temono, ma come tutti, di vedere scendere il loro tenore di vita. Si descrivono molto conservatori e arrabbiati contro le politiche del governo.
Ovviamente votano tendenzialmente repubblicano, sono per lo più bianchi, maschi, hanno oltrepassato i 45 anni e si trovano uniti nel definire Obama “molto di sinistra”.