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Il sesto gusto che non ti aspetti: è per l’acqua

Un’équipe di neuroscienziati del California Institute of Technology ha scoperto che sulla lingua sono presenti dei recettori sensibili al gusto dell’acqua

di SANDRO IANNACCONE

NON azzardatevi a chiamarla insapore. Dopo dolce, salato, amaro, acido, grasso e il recente umami, la scienza ci insegna oggi che esiste un gusto anche per l’acqua. Utile et humile et pretiosa et casta, dunque, ma anche saporita: un’équipe di neuroscienziati del California Institute of Technology di Pasadena, infatti, ha appena scoperto che sulla lingua dei topi sarebbero presenti dei recettori in grado di distinguere il sapore dell’acqua da quello di altri liquidi. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Nature Neuroscience.

La questione del gusto dell’acqua, in realtà, era da lungo tempo oggetto di dibattito da parte della comunità scientifica. Sebbene la sostanza fosse stata etichettata come “insapore” già da Aristotele, trecento anni prima di Cristo, già da tempo era risaputo che animali come insetti e anfibi – e probabilmente anche mammiferi – avessero delle cellule nervose nel cervello sensibili al suo “gusto”; diversi studi più recenti, condotti tramite strumenti di imaging che permettono di scansionare l’attività cerebrale, hanno inoltre mostrato che una regione della corteccia cerebrale degli esseri umani si “accende” quando la lingua viene a contatto con l’acqua. Ma non tutti sono concordi su tale fenomeno: c’è chi sostiene, per esempio, che tale fenomeno sia solo una sorta di “eco” per quello che si è mangiato prima di aver bevuto l’acqua – si pensi, per esempio, alla sensazione di “dolcezza” che si prova bevendo acqua dopo aver mangiato un cibo particolarmente salato.

La questione, effettivamente, è molto complessa. “Ancora si sa pochissimo sui meccanismi molecolari e cellulari che regolano la percezione dell’acqua in bocca e in gola”, spiega a Science Zachary Knight, neuroscienziato della University of California, San Francisco, “e dei percorsi neurali che trasmettono tale segnale al cervello”. Knight e colleghi, negli anni scorsi, avevano identificato una popolazione di neuroni, situata nell’ipotalamo, responsabile dell’invio di segnali che indicano quando iniziare e smettere di bere. Per comprendere appieno il meccanismo, però, mancava ancora un anello della catena: come fa il cervello a “capire” che stiamo bevendo acqua?

È proprio su questo punto che si incardina la ricerca degli scienziati del California Institute of Technology. Il team di Yuki Oka, neuroscienziato dell’ateneo statunitense, ha studiato da vicino la lingua di topi da laboratorio, “silenziando” geneticamente recettori di tipo diverso (i cosiddetti TRC, acronimo di taste receptor cell) per capire quali di questi rispondessero al contatto con l’acqua. “La parte più sorprendente”, spiega Oka, “è stata scoprire che i recettori responsabili del gusto acido si ‘accendevano’ significativamente quando toccati dall’acqua”. Per di più, i topi in cui tali recettori erano silenziati esitavano più degli altri nello scegliere se bere acqua o un olio sintetico incolore e insapore, il che suggerisce, per l’appunto, che questo tipo di recettori è necessario per distinguere l’acqua da altri liquidi.

E ancora: l’équipe ha provato ad attivare artificialmente i recettori per capire se questo potesse indurre gli animali a bere ancora o, al contrario, a smettere di farlo. In particolare, gli scienziati hanno modificato i recettori per l’acido, rendendoli sensibili, anziché a un sapore, alla luce blu di un laser. Dopo aver addestrato i topi ad abbeverarsi da un rubinetto, i ricercatori lo hanno modificato in modo tale che, anziché far sgorgare acqua, emettesse luce blu: i topi con i recettori modificati hanno “bevuto” la luce, avvicinandosi al rubinetto proprio come avrebbero fatto se ne fosse uscita acqua corrente, senza mai accorgersi della differenza. E hanno continuato a farlo molto più a lungo di quanto non facessero gli altri con i recettori inalterati, il che indica, secondo Oka, che i segnali provenienti dai recettori dell’acido non hanno alcun ruolo nell’indicare quando smettere di bere.

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